Ma “Il vecchio e il mare” è cultura alta o letteratura di consumo?
Il pamphlet di Dwight Macdonald, Masscult e Midcult, apparve in America nel 1960 e fu tempestivamente notato da Umberto Eco che lo inserì nell’Almanacco Bompiani 1963, e poi ne ragionò in Apocalittici & integrati (1964), che resta fra le sue cose migliori. Esiste(va) un’edizione Rizzoli 1969, e più tardi venne un’edizione E/o (1997), nella traduzione di Adriana dell’Orto e Annalisa Gersoni Kelly.
Dunque, chi doveva conoscere Macdonald lo conosceva, ma siccome le generazioni si susseguono e le biblioteche sono sempre meno frequentate, bene ha fatto Piano B Edizioni a ristampare Masscult e Midcult che ormai è considerato un classico, essendo “classico” un libro che è dato per letto. La traduzione e la cura sono di Mauro Maraschi; in appendice c’è, appunto, uno stralcio dell’antico Apocalittici e integrati di Umberto Eco.
Forse proprio da Macdonald Eco prese spunto quando, a suo tempo, demolì Il vecchio e il mare di Hemingway additandolo come parodia di Moby Dick di Melville. Era la stagione felice quando Eco faceva notare che il deamicisiano «Quell’infame sorrise», riferito al cattivo Franti nel libro Cuore, è una parafrasi del manzoniano «la sventurata rispose» (Gertrude).
Ma veniamo (o torniamo) al dunque. Una volta c’erano la Cultura Alta, inevitabilmente elitaria ma con funzione di stimolo e di controllo, e la Cultura Popolare, cioè fatta dal popolo, con i suoi proverbi, le sue fiabe, il suo folklore. Una sottile e immaginaria linea di confine separava le due culture.
Poi venne il Masscult, cioè la cultura della società di massa, che si differenzia dalla Cultura Popolare perché, diversamente da questa, cade dall’alto, confezionata da chi ritiene di interpretare i gusti e le attese della massa, «tecnici al sevizio di imprenditori». Macdonald rintraccia i primi esempi nel Settecento e soprattutto nell’Ottocento (i romanzi di Walter Scott), ma il Masscult è soprattutto, come detto, un fenomeno della società di massa, cioè modellata dai mass media, televisione più che cinema.
C’è poi il Midcult, variegata cultura intermedia «che ha le stesse caratteristiche fondamentali del Masscult (la formula, le Reazioni controllate, il rifiuto di qualsiasi standard qualitativo a favore della popolarità) ma le nasconde per pudore sotto una foglia di fico qualitativa. Nel Masscult il trucco è scoperto: piacere al pubblico con ogni mezzo. Il Midcult, invece, attira il pubblico in due modi diversi: da un lato finge di rispettare i canoni della Cultura Alta, dall’altro, a conti fatti, li annacqua e li volgarizza». È la Divina commedia letta da Roberto Benigni.
Dwight Macdonald, americano, analizzava quattro esempi di Midcult: Il vecchio e il mare (1952) di Ernest Hemingway, La piccola città (1938) di Thorton Wilder, J. B (1958) di Archibald Mac Leish e John Brown’s Body (1928) di Stephen Vincent Benét. (Mi dispiace per Archibald Mac Leish, generoso amico di Saint-John Perse, che facilitò al Nobel 1960 un posto nella Biblioteca del Congresso quando, nel 1943, il poeta francese dovette esiliarsi negli Stati Uniti).
Il Midcult ha dei vantaggi: edizioni economiche di qualità con rigorosi apparati critici, dischi di musica classica, diffusione di spettacoli teatrali e di opere liriche, frequentazione dei musei, film d’autore. L’aspetto negativo, però, è che questo “Rinascimento” è stato passivo, «una questione di consumi più che di creazione, una caccia al lettore su scala continentale».
Che fare? Secondo Macdonald bisognerebbe ripensare, tracciare e difendere la linea di separazione tra Cultura Alta e Masscult, rivalorizzando il ruolo delle Avanguardie che il Midcult tende ad assimilare banalizzandole. Anche la tv a pagamento può disintossicare, perché «forse la gente preferirebbe pagare e portare a casa del pane appena sfornato piuttosto che ricevere dei tozzi raffermi ma gratis (o quasi)». Insomma, un pizzico di snobismo non guasta, per proteggersi dal kitsch che accomuna sia il Midcult, sia il Masscult.
Cesare Cavalleri